Biometano agricolo: è necessaria una svolta

La produzione di biometano da risorse agricole può rappresentare un elemento di forza nell’ambito delle strategie ambientali a livello europeo e nell’attuazione nazionale degli obiettivi del Next Generation EU (PNRR). Il biometano consente, infatti, una valorizzazione energetica del biogas molto buona, evitando le inefficienze che si possono verificare nel biogas elettrico ove ci sia una scarsa valorizzazione del calore.

La situazione attuale

L’approvazione del decreto biometano 2 del marzo 2018 ha, quindi, creato molte aspettative e decisamente alto è l’interesse da parte degli operatori. Mentre per quanto riguarda il settore industriale (rifiuti, scarti agroindustriali, ecc) il mercato è prontamente partito, più lento pare l’approccio alla filiera da parte del settore agricolo ed a oggi gli impianti promossi da imprenditori agricoli ed alimentati con matrici aziendali, in Italia, si contano sulle dita di una mano.
Gli ostacoli che stanno limitando lo sviluppo del biometano agricolo sono essenzialmente riconducibili ai seguenti aspetti: durata troppo limitata dell’incentivo garantito a fronte di importanti investimenti, forti limitazioni alle biomasse impiegabili (reflui zootecnici, triticale o sorgo come colture di copertura e successive a primo raccolto feed food, alcuni sottoprodotti, ma non molti), difficoltà (e costi) di connessione alla rete gas, complessità tecnologica delle soluzioni avanzate (es. liquefazione), rigidi vincoli legati alla sostenibilità (certificazione obbligatoria). Il tutto abbinato ad un business plan che promette qualche soddisfazione solo in presenza di specifiche condizioni (costo della dieta estremamente contenuto).

L’obiettivo del legislatore è certo virtuoso, puntando alla valorizzazione di scarti e rifiuti, ma occorre considerare che questi materiali, spesso energeticamente poveri, mal sopportano alti costi di trasporto. La necessità di puntare a taglie elevate (500 Smc/h o più) per garantire la sostenibilità economica porta spesso a impianti molto grandi, con pesanti ricadute sul traffico, alta occupazione di suolo agricolo e con generali problemi di accettabilità sociale, che rischiano di compromettere l’immagine positiva che il biogas agricolo virtuoso si sta faticosamente costruendo negli anni.
Le difficoltà sopra descritte rischiano di lasciare la filiera prevalentemente in mano ai grandi soggetti industriali che, per effetto della loro struttura, capacità di investimento e dei diversi obiettivi imprenditoriali, stanno comunque acquisendo impianti biogas ed asset della filiera agricola in modo sempre più importante. È concreto, quindi, il rischio di un indebolimento del ruolo del settore primario proprio in una filiera, quella del biogas da matrici agricole, che così tanto ha contribuito al rafforzamento delle nostre aziende cerealicole e zootecniche.
Per ovviare a questi problemi il legislatore francese ha, infatti, optato, con successo, per l’incentivazione molto forte (fino a circa 1,3 €/Smc) del biometano prodotto in piccoli impianti aziendali, connessi con allevamenti e coltivazioni, con tariffa decrescente con la taglia d’impianto. In Italia, al contrario, la tariffa non ha diversificazione fra piccoli e grandi impianti.

Incentivi italiani

Il sistema di incentivazione italiano prevede, per impianti che entrano in esercizio entro il 31/12/2022, l’assegnazione di un CIC (Certificato di Immissione in Consumo) del valore fisso di 375 € per ogni circa 1.255 Smc di biometano per 10 anni. Decorso tale termine il prezzo del CIC dipenderà dal mercato, senza alcuna garanzia per il produttore. L’incentivo raggiunge, quindi, circa 0,30 €/Smc, raddoppiato in caso di impiego di matrici per biometano avanzato (es. reflui zootecnici, triticale, alcuni sottoprodotti, ecc). All’incentivo totale di 0,60 €/Smc circa si aggiunge il prezzo di mercato del biometano, variabile fra 0,10 e 0,20 €/Smc. In questo modo si giunge, quindi, ad un prezzo finale di circa 0,70-0,80 €/Smc.
Un impianto da 250 Smc/h (circa 1 MWe equivalente) fattura, di conseguenza, circa 250 mc/h x 8500 h x 0,80 € = 1.700.000 €/anno (con biometano a 0,20 e/Smc). È agevole, quindi, dedurre che il biometano porta al massimo ad incassi conseguibili con una tariffa elettrica di circa 0,21 €/kWe (in funzione del prezzo di mercato del BM). Sulla base dei numerosi business plan agricoli da noi analizzati è difficile pensare ad una sostenibilità economica generalizzata con un prezzo finito sotto 1 €/Smc per il biometano da filiera agricola.

Il problema della dieta

Considerando i costi di produzione/acquisto dell’energia elettrica e termica necessaria per l’impianto e gli altri costi generali, ben si comprende che per raggiungere una redditività occorre mantenere il costo annuo della dieta ben al di sotto dei 500.000 € per un impianto da 250 Smc/h, impiegando solo matrici avanzate (no mais, no orzo, no sottoprodotti impiagabili per l’alimentazione umana o del bestiame). Le colture dedicate (triticale, sorgo, ecc) devono essere in successione a colture alimentari, riducendo la produzione annua di biomassa energetica e quindi aumentando il fabbisogno di terra . È evidente, quindi, che la vera criticità degli impianti biometano è legata al reperimento di biomasse ammesse a costi contenuti evitando trasporti costosi ed impattanti.

La Sostenibilità

Gli incentivi sul biometano sono erogati a condizione che vengano rispettati i criteri di sostenibilità fissati nel Decreto del 14/11/2019 e nella nuova versione della norma UNI TS/11567. Tali criteri devono essere certificati da un Ente riconosciuto.
Il tema della sostenibilità non deve essere sottovalutato in quanto potrebbe creare seri problemi ai progetti specialmente in caso di impiego importante di colture dedicate (es. triticale, sorgo) e rappresenta, comunque, un onere economico ed organizzativo importante per i produttori ed una notevole complessità specialmente per gli operatori agricoli.

Riconversioni

Il Decreto biometano offre anche l’opportunità di riconvertire parzialmente o totalmente la produzione elettrica degli impianti esistenti in biometano, consentendo potenziamenti contestuali alla riconversione. Le riconversioni devono avvenire entro 3 anni dalla scadenza dell’incentivo elettrico e danno diritto ad un periodo di 10 anni di CIC garantito a partire dalla riconversione (quindi 7 anni di ulteriori incentivi).
La riconversione totale implica la cessazione dell’incentivo a 0,28 €/kWh (o 0,236 per i nuovi FER) ed il passaggio all’incentivo biometano. Il fatturato scende, sostanzialmente, da circa 2,2 M€ per MWe a circa 1,7 M€ con biometano (circa 500.000 € in meno), per un periodo di almeno tre anni, ma spesso di più in considerazione della necessità di riconvertire entro il 2022 (5 anni per un impianto del 2012 che scade al 2027). La rinuncia ad almeno tre anni di incentivo, unita ai maggiori costi dell’energia ausiliaria per il biometano, porta in genere a risultati non accettabili per i produttori. A questo si aggiunga l’obbligo di passaggio ad una dieta limitata alle matrici da BM avanzato.
La riconversione parziale impone di rinunciare ad almeno il 30% della produzione elettrica, affiancandola con una produzione libera di biometano incentivato. In questo caso lo scenario potrebbe essere meno fosco, ma occorre tenere presente che è necessario passare ad una dieta da biometano avanzato per tutto l’impianto (anche la parte elettrica) e che al termine dell’incentivazione elettrica (di certo successiva al 2022) la quota dismessa del 70% non potrà essere automaticamente riconvertita a biometano incentivato, salvo proroghe del sistema attuale.
Anche la riconversione parziale, quindi, non è di norma indolore per i titolari di impianti biogas elettrici.
A valle di queste considerazioni poco incoraggianti occorre, però, osservare, che il biometano rappresenta ad oggi l’unica opportunità certa di allungamento del periodo incentivato degli impianti in esercizio.

Distributori e GNL

Il decreto biometano incentiva anche la realizzazione di impianti di distribuzione e di liquefazione del biometano per la produzione del GNL “pertinenti” (connessi all’investimento sul biometano). In questo caso viene riconosciuta una maggiorazione del CIC pari al 20% fino ad un massimo di 600.000 € per i distributori di biometano e di 1,2 M€ per impianti di liquefazione e comunque nel limite del 70% dell’investimento.
In situazioni particolarmente vantaggiose per la localizzazione di un distributore l’opportunità offerta può essere interessante pur considerando che non è semplice vendere in un solo distributore il prodotto di un impianto ed occorre, quindi, fare riferimento ad una rete di impianti (in questo caso in genere non pertinenti e quindi senza supplemento).
Il GNL viene da molti considerato una concreta possibilità perché consente di realizzare margini più interessanti, anche se, considerando la complessità tecnologica di un liquefattore, non è certo una operazione alla portata di tutti.

Conclusioni

Dopo il fallimento del primo decreto 2013, il nuovo decreto Biometano del 2018 sta consentendo l’avvio di diverse iniziative. Mentre il settore della FORSU (Frazione Organica dei Rifiuti Solidi Urbani) e quello degli scarti industriali agroalimentari stanno partendo in modo importante, il settore agricolo stenta ad affacciarsi alla nuova sfida del biometano. Le difficoltà esposte portano, purtroppo ad escludere che il biometano possa rappresentare, alle condizioni attuali, un futuro per molti dei circa 1.500 impianti biogas elettrici che guardano al fine incentivo del sistema a 0,28 €/kWh in assenza di una modifica all’attuale sistema di incentivazione del biometano.

Proposte: l’Impianto di Biometano Agricolo (IBA)

Le condizioni per un apporto importante del settore agricolo alla produzione di biometano debbono passare, a nostro giudizio, per una revisione dell’attuale sistema che preveda, fra l’altro, l’identificazione di un “Impianto di Biometano Agricolo” con le seguenti caratteristiche:


Offre garanzia di:

  • approvvigionamento di matrici prevalentemente aziendali (o cooperative) a filiera molto corta
  • stretta connessione con la filiera agricola locale (promosso e gestito da imprenditori agricoli)
  • gestione ambientale virtuosa: copertura di tutte le vasche, interramento immediato del digestato, ecc

Beneficia di:

  • Durata della garanzia di ritiro del CIC maggiore di 10 anni (15?) per consentire un ammortamento più agevole degli investimenti
  • Incentivo specifico aggiuntivo per il settore agricolo (quinto CIC per IBA) che consenta di coprire gli extra costi di una filiera agricola locale e virtuosa. Se possibile premialità crescenti per piccole taglie aziendali sul modello francese.
  • Rivalutazione di alcuni vincoli sulle diete (es. per impianti misti elettrici e biometano e ruolo delle energy crops).
  • Maccanismo di protezione dalla volatilità del prezzo della molecola.
  • Mitigazione delle decurtazioni di incentivo in caso di riconversione tardiva da sistema elettrico

Tutte queste azioni sono realizzabili a fronte di una ferma volontà politica e di una convergenza di intenti del settore agricolo e sono di certo compatibili con le regole europee in materia di energia e di aiuti di Stato visto che la Francia le ha attuate in modo efficace.

Andrea Chiabrando

CMA – Consorzio Monviso Agroenergia

Potrebbero interessarti anche...